Gli agonisti del recettore del GLP-1 (GLP-1 RA) possono aumentare i livelli di amilasi e lipasi. Questo ha portato all’ipotesi che favoriscano la pancreatite acuta.
Per quanto riguarda semaglutide, tuttavia, i dati disponibili sono rassicuranti. Nei trial su Rybelsus® (orale) e Ozempic® (sottocutaneo fino a 1 mg), la pancreatite è risultata più frequente nel gruppo placebo che in quello trattato con il farmaco.


Al contrario, negli studi condotti con i dosaggi più elevati impiegati per il trattamento dell’obesità (Wegovy®), si è osservata una maggiore incidenza di pancreatiti nel gruppo trattato con semaglutide rispetto al placebo. Tuttavia, nello studio SELECT (Semaglutide and Cardiovascular Outcomes in Obesity without Diabetes), che ha valutato gli effetti cardiovascolari di semaglutide nei soggetti obesi ma senza diabete, anche ai dosaggi più elevati il farmaco non ha mostrato un incremento significativo del rischio di pancreatite rispetto al placebo.

Questa apparente discrepanza potrebbe essere spiegata dalla differente entità del calo ponderale tra i vari studi. Infatti, è noto che una perdita di peso rapida e significativa (superiore a 1,5 kg a settimana in media) può favorire la formazione di calcoli biliari, come avviene dopo interventi di chirurgia bariatrica. I calcoli biliari, a loro volta, possono migrare e ostruire il dotto pancreatico, provocando pancreatite acuta.
In conclusione, i dati disponibili suggeriscono che semaglutide non abbia un effetto tossico diretto sul pancreas. L’eventuale aumento del rischio di pancreatite potrebbe essere legato più alla perdita di peso indotta dal farmaco che a un meccanismo di danno pancreatico diretto.